Facebook non ti ha rubato un bel niente e tu sei un boccalone

La scorsa settimana è sslito agli onori della cronaca un fattaccio brutto che ha coinvolto Facebook.

È stato rivelato che alcuni dati psicometrici relativi a circa 300.000 utenti di Facebook sono stati utilizzati in maniera fraudolenta da una società americana chiamata Cambridge Analytica.

Cambridge Analytica avrebbe utilizzato queste informazioni profilate per cercare di influenzare, in un modo o nell’altro, gli esisti di alcune importanti elezioni svoltesi in diversi Paesi (tra cui UK e Stati Uniti d’America.

Fin qui la cronaca.

Se desideri approfondire dire la questione ti suggerisco di leggere questo articolo o di ascoltare questo podcast de “Il Post”.

A me qui non interessa molto parlare di questioni prettamente giornalistiche. Quello che mi interessa, invece, è concentrarmi sul vespaio che si è scatenato in questi giorni all’interno dei social e che ha portato con sé una sorta di psicosi collettiva relativa alla sicurezza di tutte le informazioni che forniamo a Facebook.

Perché Facebook non ti ha rubato un bel niente

Vorrei affidare la spiegazione di quanto successo alle parole di Mark Zuckerberg, che il 21 marzo ha pubblicato questo post:

Quello che appare subito chiaro è che il vero responsabile di quanto accaduto, stando all’emulatore del CEO di Facebook e alle dichiarazioni dei reporter che hanno indagato su questa faccenda, è un certo Aleksandr Kogan.

Dopo avere raccolto questi dati, infatti, Kogan li ha venduti a Cambridge Analytica.

Nel 2015, Facebook viene a conoscenza dei fatti e banna Kogan dalla piattaforma per avere venduto impropriamente dei dati senza l’autorizzazione formale degli utenti. Inoltre, la società di Menlo Park chiede a Cambridge Analytica di distruggere tutti i dati acquistati e di fornire una certificazione che possa attestare questa distruzione. CA dichiarerà di avere eliminato i dati, ma questa si rivelerà una menzogna.

Dunque, le questioni salienti sono 2:

  1. Facebook non ha venduto dei dati senza avere il consenso esplicito al trattamento di quei dati da parte degli utenti;
  2. Cambridge Analytica e Kogan hanno mentito e raggirato centinaia di migliaia di utenti e Facebook stessa che, in questo caso è una vittima.

Queste evidenze non hanno fermato la macchina del fango alimentata da una profonda ignoranza di base legata ai meccanismi di funzionamento di Facebook e di qualunque attività di marketing e comunicazione.

Perché tu sei un boccalone

Se fai parte della schiera di quelli che si sono subito scagliati contro Facebook, lanciando anatemi contro Zuckerberg e uscendo in strada con fiaccole e forconi, sì, sei un boccalone.

A illuminarti sulla via di Damasco potrebbe essere questo post pubblicato da Mafe de Baggis su “Wired”: Cambridge Analytica, se la colpa è sempre degli altri.

La questione è molto semplice: la maggior parte dei modelli di business utilizzati sul web si basano quasi tutti sull’acquisizione anonima e sull’analisi dei dati demografici e di comportamento degli utenti.

Ma questa raccolta e profilazione avviene alla luce del sole.

Ogni volta che accedi a un sito ti viene chiesto di accettare i Cookie. Ogni volta che ti registri da qualche parte (compreso su Facebook) accetti dei termini contrattuali che includono anche l’autorizzaone alla raccolta, al salvataggio dei tuoi dati personali e, sì, anche alla loro vendita a terzi.

Se tu non conosci questi termini, la colpa non è di Zuckerberg, ma del fatto che tu quella privacy policy non l’hai neppure scorsa velocemente, figuriamoci leggerla per intero!

Perciò, Facebook non ti ha rubato un bel niente. Fattene una ragione.

Tu hai concesso a Facebook di utilizzare – entro certi termini – alcuni tuoi dati personali. Sei tu che hai deciso cosa condividere, a quali pagine mettere Mi piace, quali foto pubblicare ecc. No ti ha obbligato nessuno.

Dare la responsabilità di quanto successo a qualcun altro, non cambierà la natura dei fatti: se Kogan è entrato in possesso di quelle i formazioni, la colpa è tua e del fatto che non presto attenzione a che cosa dai il consenso qua do navighi in Rete.

Diciamolo: se Mark ha perso miliardi di dollari in pochi giorni, la colpa è del fatto che sei un boccalone.

Conclusione, oppure no…

Lo so, sono stato caustico ed eccessivo.

Spero di non averti offeso, ma di avere reso bene il concetto.

Gli illusi e i volponi che in un moto di rivoluzione prêt-à-porter hanno cancellato i loro account o le loro pagine su Facebook, mi fanno tenerezza.

Sai che WhatsApp e Instagram si comportano come Facebook? E attento a condividere post su Twitter, anche lì raccolgono i nostri dati.

Se vuoi cercare qualcosa online, non farlo su Google, né su nessun altro motore di ricerca. Perché? Semplice! Come pensi che faccia Google a fornirti la soluzione migliore alla tua richiesta? Raccoglie e immagazzina informazioni su di te.

E Amazon? Anche Amazon, ovvio!

Ti dirò di più, quello di Amazon ha uno dei più complessi sistemi di elaborazione dei big data a livello commerciale.

E potrei continuare a lungo.

Il discorso è un altro. Cancellare i propri account in Rete è legittimo (il cosidetto diritto all’oblio), ma tendenzialmente inutile per difendere la tua privacy, perché le tecnologie sono ormai presenti ovunque e sono tutte progettate per ascoltarti e comprendere i tuoi bisogni in modo da anticiparli.

Piuttosto, presta attenzione a quello che pubblichi online e alle applicazioni alle quali concedi l’autorizzazione a raccogliere e utilizzare i tuoi dati.

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