Per alcuni mesi ho deciso di sperimentare le prestazioni di Instagram come canale di promozione della mia attività di consulenza online. Un paio di settimane fa ho deciso di abbandonare quella piattaforma e ritornare a dedicarmi al mio blog.
Le ragioni di questa scelta non risiedono nella natura stessa di Instagram (che pure ha dei lati positivi), quanto, piuttosto, nel modo in cui i suoi utenti (users e content creator) ne fanno uso.
Scrivo questo articolo per fornire un resoconto della mia esperienza su questo canale.
Perché avevo pensato di utilizzare Instagram
Nel maggio del 2020 ho deciso di testare un nuovo canale di disseminazione dei miei contenuti e di promozione del mio personal branding: Instagram.
La mia attività su questo Social Media è proseguita fino al 22 settembre, il giorno in cui ho definitivamente deciso di lasciare perdere e tornare a occuparmi del mio blog personale.
Il motivo principale della mia scelta è stato, devo ammetterlo, il fatto di vedere che molti colleghi si stavano appassionando a questa piattaforma e – mosso dalla curiosità – ho deciso di sperimentare questo canale che, fino a quel momento, avevo pressoché ignorato, benché avessi raggiunto da tempo i 600 followers.
Il primo approccio a Instagram è stato positivo
Il mio primo approccio con questo canale è stato abbastanza positivo. Nel giro di poche settimane e senza particolari tattiche di boosting ho raggiunto e superato i 700 followers e un accettabile livello di interazioni.
Gli utenti si sono dimostrati attivi e hanno interagito con i miei post manifestando interesse.
Ma questo idillio è durato ben poco, perché dietro questo engagement si nascondeva un bluff.
Il bluff del “do ut des”
È così che l’ho battezzato!
Instagram ha un grosso problema legato al modo in cui vengono fatti crescere i profili al suo interno. Una delle tecniche principali di crescita che quelli che si spacciano per growth hacker mettono in pratica consiste nel ricercare account compatibili con il proprio (in termini di numerosità dei seguaci) all’interno della propria nicchia di interesse e iniziare a interagire con loro, distribuendo like e commenti in maniera quasi indiscriminata.
Qual è la conseguenza principale di questo comportamento?
La risposta è semplice. Da un lato gli account crescono in maniera abbastanza rapida perché tutti, bene o male perseguono lo stesso obiettivo: aumentare il numero dei follower. Dall’altro, però, la conta dei followers diventa superflua, perché le chance di ottenere una conversione significativa all’interno di quella nicchia è praticamente prossima allo zero.
Insomma, questo trucchetto dell’engagement forzato determina cluster di utenti con un’attività estremamente autoreferenziale. Non solo. Quello che spesso succede è che, se l’interazione non viene ricambiata nel giro di poco, la persona deciderà di smettere di seguirti, perché non ha ottenuto quello che voleva: il tanto agognato follow back!
Insomma, Instagram è un sistema che premia gli account grossi, aiuta la crescita dei piccolissimi, taglia le gambe ai piccoli e penalizza i medi.
Il follow a specchio
Perché penalizza i medi?
Instagram penalizza gli account di medie dimensioni perché molto spesso capita che il follow dato da un utente con pochi follower ad account con decine di migliaia di seguaci (con tutte le relative interazioni) abbia la sola funzione di brillare di luce riflessa. I piccoli account cercano di mettersi in mostra all’interno delle discussioni al solo scopo di accalappiare qualche follower in più e accrescere il proprio stuolo di seguaci. Di conseguenza, le interazioni sono spesso vuote e poco stimolanti.
La tattica dello specchio aiuta gli account a crescere e a farsi notare in una nicchia discapito della qualità dell’engagement degli account più grossi.
Pratiche scellerate di crescita fraudolenta
I Pod dovrebbero essere aboliti!
Se hai bazzicato Instagram saprai che cosa sono i Pod. Se non lo sai, te lo spiego subito: i Pod sono gruppi organizzati di utenti di Instagram che si accordano sottobanco per aumentare artificiosamente il volume dell’engagement dei loro post sfruttando al massimo le logiche dell’algoritmo di Instagram per incrementare la copertura organica dei post.
Se vuoi sapere perché andrebbero evitati, ti consiglio di leggere questo articolo dal blog di Hootsuite (https://blog.hootsuite.com/it/cosa-sono-i-pod-di-instagram-e-perche-li-sconsigliamo/).
Quello che ti posso dire è che questa pratica è davvero eticamente deplorevole e rappresenta un comportamento fraudolento di di concorrenza sleale.
Mi è stato proposto 3 volte di entrare all’interno di Pod molto elitari e mi sono rifiutato categoricamente, perché voglio restare fuori da certe logiche.
Chi fa parte di un Pod non lo ammetterà mai, ma purtroppo sono davvero molto diffusi e scoprirne i membri è davvero molto semplice. Basta avere un minimo di capacità di osservazione e di intuizione.
La presenza di numerosi Pod legati al mondo del Digital Marketing è stata una delle principali ragioni che mi ha fatto disaffezionare a questo canale.
Condotte “antisportive” come questa abbassano la qualità della piattaforma e la rendono ostile a ogni possibilità di crescita indipendente.
Comprare i follower è da sfigati (oltre ad essere controproducente)
Un’altra pratica truffaldina di crescita è l’acquisto di followers.
Ci sono persone che hanno comprato seguaci un tanto al chilo per il puro gusto di vedere salire il contatore dei followers e potersi vantare in giro di averne migliaia e migliaia.
A che pro?
Vanità. Pura e semplice vanità. Unità a una buona dose di spocchia e a una profonda ignoranza riguardo al funzionamento dell’algoritmo di Instagram.
Sì. Perché avere tanti followers, se questi poi non interagiscono con i tuoi post produce come conseguenza il declassamento di quell’account al livello spazzatura. Ed è questo che succede a chi compra i followers: diventa spazzatura di Instagram e sparisce velocemente dai radar della copertura organica dei post.
Certo, ci sono anche le eccezioni. Ma sono, appunto, delle eccezioni.
Vivi e lascia vivere
Alla fine ho deciso di lasciar perdere. Soprattutto perché, facendo i breve sondaggio conoscitivo tra alcuni contatti all’interno della piattaforma (tra quelli che sembravano avere prestazioni più significative) ho capito che il tasso di conversione all’interno del canale è bassissimo, visto che dominano le Vanity Metrics. Ma non solo questo. Un altro aspetto da non sottovalutare nella scelta di utilizzare Instagram come canale di comunicazione per il proprio personal branding è il fattore tempo. I contenuti per Instagram, infatti, richiedono molto tempo per essere realizzati e, inoltre, la piattaforma stessa necessità di un elevato numero di ore di permanenza sulla stessa per ottimizzare coi sforzi di engagements. Insomma: il gioco non vale la candela.
Così ho deciso di lasciare ad altri il piacere di giocare a fare gli instagramer e io sono tornato alla mia prima scelta, vale a dire il mio blog.
Tu hai mai utilizzato Instagram per il tuo personal branding?